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BUONI O CATTIVI?

Come parlare di nutrizione in famiglia

27 Agosto 2021

Immaginate di trovarvi in un ambulatorio nutrizionale, nel momento in cui il professionista di turno vi chiede la più classica e fondamentale domanda di routine: “com’è una giornata alimentare tipo della vostra famiglia?”. Come vi sentireste?

La domanda può sembrare banale e richiede solo un piccolo esercizio di memoria, eppure molto spesso vedo i genitori sprofondare nell’imbarazzo nel momento in cui si trovano a dover ammettere di aver offerto al bambin@ delle terribili merendine, i bastoncini di pesce al posto del pesce fresco oppure un panino farcito con il salame per merenda. La reazione è molto simile anche quando è un paziente adulto ad ammettere di avere un debole per la cioccolata fondente o di bersi una birra ghiacciata ogni tanto la sera dopo il lavoro.

 

In fin dei conti in quanto genitori, l’istinto ci porta sempre a voler proteggere i bambini, e proveremo a farlo con ogni strumento possibile al limite delle nostre possibilità. Questo include molto spesso tutelare la loro salute attraverso la scelta degli alimenti che ogni giorno portiamo in tavola, e sapere di aver offerto alimenti “poco salutari” può far sentire in colpa, come se avessimo commesso un peccato.

 

Perché ci sentiamo così?

La risposta è un po’ complicata, e va a trovare le sue origini nella seconda metà del secolo scorso, quando l’OMS ha iniziato a parlare di diffusione dell’obesità in proporzioni pandemiche. Mai come nel 2021 questo termine ci fa rabbrividire e ci fa intendere la gravità di un’affermazione simile, nonché il grado di preoccupazione delle istituzioni per questa condizione. Iniziare a parlare di obesità in quanto malattia ha scaturito l’impennarsi della produzione di alimenti dietetici, il fiorire di nutrizionisti in ogni dove, e la tossica associazione di idee magrezza=salute.

Ricorderò sempre con tenerezza una bambina di circa 7 anni a cui davo lezioni di inglese che, durante un esercizio che richiedeva la suddivisione di alcuni piatti tra dolce e salato mi disse “la pizza è sweet (dolce), perché fa male, e i dolci fanno male”. Oggi magari leggendolo ci scappa un sorriso, eppure è la manifestazione più sincera di quanto sia incisivo il modo in cui scegliamo di parlare di nutrizione ai bambini. Con lo spauracchio dell’epidemia di obesità fin da piccoli cerchiamo di trasmettergli l’idea, giustissima, che per crescere in salute una buona dieta sia fondamentale. Lo facciamo però con ricatti e false promesse, e li esponiamo all’idea che mangiare la frutta o i legumi li faccia diventare grandi e forti, e li incitiamo a voler essere come Braccio di Ferro pur che mangino le verdure che abbiamo cucinato per loro; allo stesso modo quando fanno i capricci e pretendono di mangiare per l’ennesima volta la cotoletta di pollo o i Sofficini non manchiamo di fargli presente che gli farà male, che non li farà crescere fino a diventare come mamma e papà. Così funziona da generazioni, eppure le lotte a tavola sembrano non cessare mai e la diffusione delle patologie cronico degenerative correlate a stili di vita e alimentari scorretti non mostrano nessuna drastica frenata. Sarà un caso? No, assolutamente no… vi aspettavate un’altra risposta?

 

Il tipo di comunicazione visto fino ad ora è assolutamente inefficace, e le regole base della nutrizione che vorremmo trasmettere passano sempre in secondo piano: da bambini brameranno più che mai ciò che è proibito e affascinante e non desidereranno mai spontaneamente ciò che sentono come una costrizione; da adulti invece vivranno il momento dei pasti con preoccupazioni e sensi di colpa, rischiando di sviluppare pensieri ossessivi riguardo al cibo e al suo potenziale di danneggiare la nostra salute o di modificare il nostro corpo. Insomma, stiamo insegnando qualcosa di inesatto, poiché come già detto molte volte nessun alimento in una dieta varia fa male se consumato sporadicamente, e lo stiamo facendo a spese del concetto più prezioso:

una sana alimentazione è ciò che ci permette di prenderci cura del nostro corpo e stare bene

A questo punto dovremmo esserci resi conto che anche a tavola la psicologia la fa da padrone, e dunque il modo in cui scegliamo di comunicare è determinante.

Il modo migliore per parlare di nutrizione con i bambini è scegliere un linguaggio neutro e oggettivo. Nessun alimento dovrebbe “far bene” o “far male” ed essere di conseguenza “buono” o “cattivo”. Ecco qualche esempio:

 

  • Al posto di “troppo gelato al cioccolato ti fa male, mangia anche la frutta” proviamo con “il gelato ti da molta energia ma si esaurisce subito. Gli strumenti per poter usare tutte le nostre riserve di energia sono nella frutta, mangiamo un po’ anche di quella”.
  • Al posto di “Non togliere i fagioli dalla pasta! Ti fanno bene!” proviamo con “La pasta è molto buona, a volte vogliamo sentire tutto il suo sapore senza confonderlo con gli altri cibi che abbiamo nel piatto. Lo sapevi che i fagioli contengono i mattoncini che servono al mostro corpo per farci crescere i muscoli? Magari possiamo mangiarli dopo”.

 

Infine, non scordiamoci mai che nutrire il nostro corpo passa per l’alimentazione, che è un concetto ben più complesso e non riguarda soltanto il tipo, la qualità e la quantità di alimenti consumati, ma include anche la sfera psicologica e sociale del rapporto con noi stessi, con il nostro corpo, con la nostra famiglia e i nostri amici. Ecco dunque che un’alimentazione realmente sana per il bambin@ non è priva di torte, panini del McDonald e gelati; si tratta bensì di un’alimentazione in cui:

-vengono offerti tutti i nutrienti di cui il bambin@ necessita attraverso una varietà molto ampia di alimenti;

-il bambino impara a conoscere e riconoscere gli effetti di determinati alimenti sul proprio organismo, ad esempio sul proprio stomaco, sulla propria energia e sulla propria concentrazione;

-le nozioni di nutrizione vengono trasmette stimolando la curiosità sul funzionamento del corpo umano, e non per assiomi;

-non esistono proibizioni assolute ma regole condivise per la tutela del proprio benessere (vedi punto precedente);

-le occasioni convivali vengono valorizzate e vissute con gioia per il valore sociale ed emotivo che rappresentano;

-non vengono associati giudizi morali di “buono” o “cattivo” alle pietanze, e di conseguenza il bambin@ imparerà a non giudicare sé stesso o gli altri sulla base di ciò che mangiano.

 

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